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"U SPETTU O PASSU..."

“U spettu o passu” diceva Turi Scarpia figura paziente di un libro di Maria Grazia Di Stasi che raccontava come Nino Rizzo, divorato dalla “gelosia e dall’invidia” (due erbe cattive dalle radici profonde) fu costretto ad inventare tutto affinchè nessun uomo mettesse gli occhi su Maria

“Quel che vide era niente ma quello che inventò fu tutto”. 

La fantasia avvelenata dal desiderio frustrato correva. Gli faceva immaginare scenari che la sua rabbia rendeva realtà. 

All’inizio era un gioco, ma poi fu febbre che alimentava il vento della calunnia che soffiava forte sui tetti delle case, fra le strade strette, sulla bocca delle comari alla messa, degli uomini fermi a crocchi nella piazza ed era tutto un parlare e sussurrare, un “trasiri e nesciri” che suggeriva più che dire, che insinuava alludendo. 

E ognuno aveva qualcosa da aggiungere, un particolare, un’atmosfera, un colore e tutto andava a nutrire il grande e amaro cibo della maldicenza, per cui tutto era possibile, senza rispetto senza onore, senza giudizio. 

E Maria non ebbe più gli occhi che ridevano, ma uno strano sguardo febbrile e movimenti nervosi come malati. E si faceva come trasparente quando usciva per strada e le sembrava che ogni sasso la scrutasse giudicandola. 

Ma alla scordata Dio si ricordò di lui. 

Nino Rizzo era un pezzo d’uomo col cervello di un bambino cattivo. Nessun vero pensiero sembrava agitare la sua mente se non il quotidiano esercizio di pochi banali divertimenti. 

Conosceva tutti nel paese e tutti lo conoscevano evitandolo quando potevano. 

Non si fidavano. Sapevano quanto era lunga e velenosa la sua lingua. Quante parole di troppo diceva. I suoi occhi da furetto spazzavano la piazza e le strade alla ricerca di qualche immagine succosa, di qualche scena particolare da poter riferire. 

Ne trovava sempre. E parlava prima di pensare. 

Una sera tornando a casa, gli sembrò di vedere una scenetta insinuante: una certa donna che conosceva di vista si era fermata a parlare in un angolo un po’ buio con una persona. 

Non gli parve vero trovare qualcosa per intrattenere le serate dei suoi conoscenti. Strizzò gli occhi: chi era lui? Gli sembrò ma non era sicuro, ma che importanza aveva? La cosa bastava. Ci voleva soltanto qualche altro particolare per rendere la cosa più succosa, ma non c’erano problemi per quello… Lui ci sapeva fare. 

La maldicenza è come una musica che nasce in sordina e va crescendo fino ad assordare…ma la persona questa volta era sbagliata… 

La lei di turno era l’amante di Rocco Cannata. Nessuno lo sapeva e nessuno doveva saperlo. Ma lo sapeva Turi Scarpia … e non gli parve vero. 

Cannata non era uomo col quale si potesse scherzare e la donna era la moglie di un suo socio in affari che non era cosa inimicarsi. Ne sarebbe andato della salute…sua e di lei…e di chissà quanti altri… 

Quando la voce malevola cominciò a diffondersi, Turi Scarpia capì subito da chi era partita. Era come se ci fosse la sua firma di quell’infame che impunito tornava a colpire. 

Ma questa volta no, questa volta l’avrebbe pagata. Cannata era “mittuto o passu”. Già le voci cominciavano a sfiorarlo e lui era feroce. Bastava un nulla e sarebbe esploso. Ma questo a Scarpia non bastava. Lui voleva per Rizzo una morte lenta e dolorosa. 

Ci pensò per giorni a come doveva fare per vendicare gli occhi belli di Maria e se stesso e la sua vita “fitusa e disgraziata” senza di lei. 

Fu facile fare arrivare alle orecchie di Nino Rizzo che aveva pestato un callo di troppo e alla persona sbagliata e dopo questo non restava che aspettare senza neanche sporcarsi le mani facendo la spia. 

Rizzo era un “vigliacco” e la paura stessa l’avrebbe tradito. Se lo sarebbe mangiato a piccoli morsi dolorosi facendolo morire ogni giorno, ancora prima che Cannata lo ammazzasse lui. 

E così successe. Non c’erano dubbi. Come Rizzo seppe che qualcuno aveva riferito a Cannata che da lui erano partite le chiacchiere, nemmeno si chiese se fosse vero. Lo sentiva nel sangue che gli si gelava nelle vene, mentre la notte non riusciva a dormire per il terrore. Perché sapeva che la giusta vendetta sarebbe venuta, ma non sapeva quando né come. Ogni mattina che apriva gli occhi al mondo si chiedeva da che parte sarebbe arrivata e così cominciò a uscire di casa sempre più di rado fino a non uscire affatto e tutti capirono e Cannata per primo che lui era il colpevole e che chiuso in casa come in una tana prima o poi la fine del topo ci faceva. 

E il tempo che passava era un’agonia e la vecchiaia gli cadde di botto sulle spalle come un colpo di mazza. E non gli restò altro che aspettare, un giorno dopo l’altro, un anno dopo l’altro finché la morte non arrivò davvero a liberarlo da quella prigionia, ma fu soltanto la mano pietosa di Dio che lo colse nel sonno durante uno dei suoi incubi. 

Turi Scarpia andò alla veglia e seduto accanto al tabbuto lo guardava. 

“ Vidisti” pensava “ tu dissi chi t’aspittava o passu!” 

1 commento:

  1. questo e' il vostro fare sindacato?????????
    ma vaaaaaaaaaaaaaaaaa

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